Strumento a fiato tipico della Sardegna

Le launeddas sono costituite da tre canne di diversa lunghezza che il suonatore sostiene con le mani.

Nell’estremità superiore delle canne è presente un cannellino (cabitzina) sul quale viene incisa l’ancia, una linguetta la cui vibrazione produce il suono dello strumento.
La canna più lunga (tumbu) è priva di fori e produce un unico suono grave e continuo. Le altre due (mancosa e mancosedda) hanno invece cinque fori rettangolari, quattro dei quali vengono diteggiati mentre l’ultimo determina l’intonazione dello strumento quando gli altri sono chiusi.
La famiglia delle launeddas comprende diverse tipologie di strumenti, i cuntzertus, ognuno dei quali identificato da un nome (mediana, fioràssiu, puntu ‘e òrganu ecc.).

Tecnica esecutiva

Il suonatore impugna con la mano sinistra due delle canne (tumbu e mancosa), che sono saldamente legate tra loro, mentre sostiene con la mano destra la canna più acuta (mancosedda).

Porta alla bocca i tre cannellini (cabitzinas), serra le labbra e inizia a soffiare, facendo così vibrare le ance. I suonatori di launeddas utilizzano la “respirazione circolare”. Accumulano una riserva d’aria nelle guance, che sfruttano nel momento in cui, inspirando dal naso, riempiono nuovamente d’aria i polmoni. Grazie a questa particolare tecnica è possibile produrre un suono continuo e ininterrotto anche per decine di minuti.
A differenza di gran parte degli strumenti a fiato, i fori delle due canne melodiche non vengono tappati con i pollastrelli ma con le falangi. Questi vengono diteggiati rispettivamente con indice, medio, anulare e mignolo delle due mani, mentre il pollice, poggiato nella parte posteriore, sostiene lo strumento.

La storia

Le origini delle launeddas sono ignote.

Un antico bronzetto nuragico datato XIII-IX secolo a.C. raffigura un suonatore di uno strumento a tre canne divaricate che potrebbe essere un progenitore degli strumenti che conosciamo oggi.
In epoca antica, strumenti che presentano analogie con le launeddas erano diffusi in diverse parti del Mediterraneo. Varie tipologie di strumenti a fiato a due o tre canne sono raffigurati negli affreschi delle tombe egizie, nel vasi greci e nei mosaici romani.
Risalgono al X secolo d.C. le prime rappresentazioni scultoree di strumenti a più canne, mentre le prime fonti scritte relative alla presenza delle launeddas in Sardegna risalgono al XVIII secolo. Resoconti di viaggio, contratti notarili e altri documenti testimoniano una radicata diffusione di questo strumento nell’isola, utilizzato da suonatori professionisti, allora come oggi, sia per l’accompagnamento del ballo che per le processioni religiose.

L’origine del termine launeddas

Fin dal Settecento sono state proposte le ipotesi più disparate.

Secondo l’abate Matteo Madau (1787) il termine deriverebbe da “leone”, perché nel passato con le tibie di questo animale venivano costruiti, a suo dire, gli strumenti.
Nei primi anni del Novecento il musicologo Giulio Fara e il linguista Pier Enea Guarnerio danno vita a una aspra querelle sull’argomento. Per il primo la parola launeddas deriverebbe da “lau” (alloro), mentre per il secondo da “launaxi” (oleandro).
Ad oggi l’ipotesi più attendibile sull’etimologia del termina launeddas è quella proposta da Giulio Paulis. Il linguista fa risalire il termine al latino “ligulella”, diminutivo di “ligula” (it. lingua), che nel corso del tempo si sarebbe evoluto in “liulella” > “liunella” > “liunedda”, fino ad arrivare all’attuale launeddas.

La costruzione

Pochi semplici materiali e una grande esperienza sono necessari per costruire le launeddas.

I tre tubi e le cabitzinas sono realizzati con due diverse specie di canna. La canna fèmina viene utilizzata per il tumbu e i cannellini delle ance, la canna mascu per le canne melodiche.
Lo spago (in passato spago di fibra vegetale ricoperto di pece e più spesso spago sintetico) viene utilizzato per legare assieme tumbu e mancosa e per rinforzare le parti più delicate dello strumento.
Per accordare lo strumento si usa la cera d’api. Una piccola quantità viene applicata sulle ance modificandone così la frequenza di vibrazione.
I costruttori raccolgono le canne nei giorni successi ai pleniluni d’inverno e le lasciano stagionare per almeno un anno. Nei loro laboratori artigianali, con l’ausilio di vari utensili da taglio, realizzano le ance, incidono i fori e assemblano la diverse parti che compongono lo strumento. Un lavoro accurato e una profonda conoscenza dei materiali permettono loro di realizzare strumenti perfettamente intonati che si adattano alle esigenze dei diversi suonatori.

Repertorio

Il repertorio delle launeddas comprende diverse tipologie di musica che possono essere suonate da uno strumento solo oppure a cuncòrdia, ovvero da più suonatori in contemporanea. In alcuni casi vengono utilizzate per accompagnare il canto.

Una parte importante del repertorio è costituita dalle suonate religiose, che si eseguono per accompagnare il simulacro del santo o della Madonna quando, in occasione delle feste religiose, viene portato in processione per le vie del paese al suono dello strumento. Una particolare suonata religiosa viene eseguito all’interno della chiesa, durante la liturgia, nel momento dell’elevazione dell’ostia.
La parte più affascinante e complesse del repertorio delle launeddas è però quella delle suonato di accompagnamento al ballo. Con ognuno degli strumenti che costituiscono la famiglia delle launeddas si eseguono complesse musiche sul ritmo del ballo campidanese nelle quali il rispetto di precise regole, virtuosismo e improvvisazione la fanno da padroni.
Con le launeddas si accompagnano infine canti religiosi, come gli inni di lode detti gòcius, o canti profani come cantzonis a curba e mutetus.

I suonatori di launeddas

L’apprendimento di questo antico strumento richiede un lungo apprendistato.

Oggi come in passato la musica delle launeddas viene trasmessa oralmente. Una volta imparata la respirazione circolare un apprendista suonatore si cimenta con il più semplice repertorio religioso, di solito eseguito a cuncòrdia o suonando assieme alla fisarmonica, all’organetto o ai flauti di canna.
Si passa poi alle musiche di accompagnamento al ballo, le più complesse. Per ogni tipologia di strumento, il maestro insegna all’allievo un certo numero di nodas, frasi musicali tramandate dalla tradizione, e il modo in cui queste devono essere variate e concatenate tra loro.
Da secoli i suonatori di launeddas sono dei professionisti della musica. Terminato il lungo apprendistato, mettono a disposizione la propria arte in occasione delle feste religiose o per l’esecuzione di balli, occasioni in cui la musica delle launeddas è ancora oggi una immancabile presenza.

Le launeddas oggi

Negli anni Settanta del XX secolo le launeddas hanno attraversato un periodo di profonda crisi.

Pochi anziani suonatori portavano avanti una tradizione secolare che rischiava di scomparire. Ma negli anni Ottanta le cose iniziano a cambiare. Nascono le prime scuole, dove maestri come Aurelio Porcu e Luigi Lai possono trasmettere il loro sapere ai giovani che iniziano ad riavvicinarsi a questo strumento.
In particolare Luigi Lai, ancora oggi il decano delle launeddas, porta lo strumenti nei circuiti del folk revival prima e della world music dopo, collaborando con musicisti di varia estrazione, da Angelo Branduardi a Maria Carta, dai quartetti d’archi a suonatori di cornamuse e altri strumenti proveniente da varie parti del mondo.
Alcuni suonatori esplorano le potenzialità dello strumento sperimentano nuovi generi e portando avanti progetti di contaminazione. Nel frattempo sempre più sardi riscoprono il ballo tradizionale, che adorano ballare al suono delle launeddas.
La crisi è stata così scongiurata, e oggi si possono ascoltare le launeddas, suonate da musicisti di tutte le età, nelle più diverse occasione: durante le processioni religiose, sui palchi delle feste dell’isola, così come nei festival internazionali di world music.